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2021-2022
 

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Care lettrici e cari lettori,

il numero di questo mese può essere considerato, sopra ogni altra cosa, all’insegna della cultura. Il periodo dalla fine di novembre a queste prime settimane di dicembre è stato straordinariamente fortunato soprattutto per il cinema: primi fra tutti, The French Dispatch e E’ stata la mano di Dio. Il primo è l’ultimo capolavoro del regista americano Wes Anderson – suoi, fra gli altri, gli originalissimi e ironici Moonrise Kingdom (2012) e Grand Budapest Hotel (2014) – rimandato a lungo nelle sale a causa della pandemia e ora finalmente giunto tra le braccia calorose dei fans in tutto il mondo; il secondo ci mostra la solita delicatezza di Paolo Sorrentino, questa volta nell’omaggiare Napoli, il suo stesso rapporto con la città e lo spirito di Maradona a un anno dalla sua morte. Ma il mondo del cinema purtroppo ha dovuto affrontare il 9 dicembre scorso la dolorosa notizia della morte della prima donna nella storia candidata all’Oscar per la miglior regia, Lina Wertmuller, spentasi all’età di 93 anni.

Nel mondo della musica abbiamo assistito al ritorno sulla scena di Marracash, il rapper dalla lunga carriera che con numerosi capolavori già alle spalle lascia ancora una volta tutti a bocca aperta con Noi, Loro, Gli altri dopo il successo recente di Persona (2019).

Attraversando dunque questo mare d’arte e meraviglie, approdiamo come sempre anche sulla spiaggia degli ultimi avvenimenti nel mondo, da cui ricaviamo ciò che più l’ha segnato. Dalla data del 1° dicembre, in cui ogni anno ricorre la Giornata mondiale per la lotta contro l’AIDS, al fine di far prendere coscienza del virus HIV e della prevenzione da esso, alla situazione in Afghanistan, ancora appesa a un filo nonostante se ne parli molto di meno rispetto a pochi mesi fa, fino ad arrivare a ciò di cui si è più discusso in Italia nelle ultime settimane: la liberazione dalle carceri egiziane di Patrick Zaki, dottorando all’Università di Bologna, dopo 22 mesi di detenzione.

C’è dunque tanto da dire, tanto da vedere e sentire, tanto da cercare e ancor di più da trovare. Tanto su cui riflettere, soprattutto sul perché questo mondo, che ci ha accolto sulla sua spiaggia dopo un lungo e infinito pellegrinare, continui ininterrottamente a sopprimere, abbattere e cancellare e ci sfidi a ricercare la bellezza tenendola nascosta, come perle nelle ostriche.

Margherita Del Duca IIIA,

per la redazione dell’Urlo! tutta.

Margherita Del Duca IIIA,

per la redazione dell’Urlo! tutta.

Care lettrici e cari lettori,
In ritardo, ma anche quest’anno siamo la Voce di una scuola che sta rinascendo.

Torna innanzitutto la rubrica sul cinema con Madres paralelas, l’ultimo lavoro del regista spagnolo Pedro Almodóvar, uscito in Italia lo scorso 1° settembre, inoltre, come al solito, entrando a gamba tesa negli avvenimenti dell’ultimo periodo, la nostra sete di conoscenza e bisogno di essere informati si protende anche e soprattutto verso le notizie di attualità che riguardano il mondo che ci circonda. L’estate e questi primi mesi d’autunno sono stati tumultuosi, pieni zeppi di eventi che hanno sconvolto non solo lo scenario mondiale, ma anche ciascuno di noi nel profondo: potremmo definirli all’insegna dei cambiamenti, o meglio, dei cambiamenti “negati”. Il cambiamento è purtroppo fermo e non sta andando da nessuna parte. Abbiamo tutti assistito al colpo di stato dei talebani in Afghanistan, un Afghanistan piegato con la forza a dettami che stavano, dopo tanto tempo, venendo scardinati per quanto possibile. Ci è stato presentato, dalla televisione e dai social, un ritratto di un Paese impaurito – disperato, con la fuga improvvisa di migliaia di persone in qualunque Paese fossero accolte. Un cambiamento imposto da un governo a lungo combattuto che ha nuovamente tranciato di netto un tentativo per la nazione di migliorare, di raggiungere nuovi traguardi verso nuove libertà. Il cambiamento climatico, invece, è stato a lungo discusso durante la Conferenza delle Nazioni Unite (anche nota come COP26) tenutasi a Glasgow agli inizi di novembre. Nonostante gli interventi di attivisti e attiviste, nonostante la grande partecipazione di tenacissimi manifestanti provenienti da tutte le parti del mondo, nonostante si tratti del futuro di tutti noi, le misure adottate dai paesi che vi hanno partecipato sono state poco più che inutili di fronte all’imminenza del problema. Se prima ne eravamo più o meno tacitamente consapevoli, ora ne abbiamo la certezza: oltre alle controversie su quello che era l’effettivo contenuto del decreto di legge, c’è un problema presente e persistente che è rimasto inascoltato: quello delle violenze perpetrate ai danni della comunità LGBTQ+ e delle discriminazioni di genere.

L’Italia è stata teatro anche di un’altra serie di avvenimenti, stavolta legati alla problematica del vaccino contro il virus COVID-19. Manifestazioni dei “no-vax” e dei “no green pass” hanno animato numerosissime città italiane, opponendosi al green pass e ritardando la campagna vaccinale che avrebbe dovuto a oggi raggiungere numeri molto più alti. Una nota positiva è il fortunato fronte scientifico, che ha visto Giorgio Parisi, accademico italiano, insignito del premio Nobel per la fisica 2021 per i suoi studi sui sistemi complessi. Come ogni anno, infine, la data del 25 novembre ci ricorda tutti i traguardi raggiunti contro la violenza sulle donne, ma anche tutti quelli da raggiungere. Non si sono fermate le grida di aiuto di donne che soffrono, ovunque e ogni giorno e non deve mai fermarsi la marcia per aiutarle, per raggiungere questa eguaglianza necessaria da tempo ormai immemore e dare finalmente una “spintarella” a questo pigro cambiamento.

2020-2021

Siamo tornati.

Care lettrici e cari lettori,

un marzo del genere ce lo aspettavamo, ma diciamo pure che ne avremmo volentieri fatto a meno.

Il tema principale di questo numero è la libertà, un filo invisibile che collega eventi diversi da diverse parti del mondo. Il filosofo francese Jean-Jacques Rousseau annoverava la libertà dell’individuo tra i suoi diritti fondamentali, inalienabili. Un termine affascinante, che porta con sé un bagaglio pieno di conseguenze; internet mi dice che “inalienabile” vuol dire “che non può essere soppresso o abolito né sottratto, insopprimibile”, e mi riporta il seguente esempio: "la libertà è un diritto i. dei popoli", neanche a farlo apposta. Questa libertà è oggetto di discussioni da sempre: la iniziamo a sentir nominare a scuola, nella traccia di un tema sovrasta le altre parole e ci appare tanto scontata, se non addirittura priva di significato; il primo pensiero, puerile, spontaneo, immediato è “la libertà è fare quello che voglio”. E gli altri? Anche loro possono fare quello che vogliono? E allora quand’è che ci si ferma? Dove sta il limite?
È quello che ci chiediamo festeggiando l’8 marzo, una ricorrenza familiare che, al contrario di quanto si spera che succeda, si rende ogni anno più necessaria. La libertà sottratta a una donna perché tale. E mentre al TG vengono mostrati gli scioperi tenutisi in tutto il mondo, attraverso immagini di rabbia e indignazione che parlano da sole, mi torna in mente la stessa domanda: “dove sta il limite?” Dall’inizio del 2021 sono quattordici i casi di femminicidio accertati in Italia, otto solo nel mese di febbraio, e chissà quanti altri ancora dovremo sopportare. Dal Regno Unito, dopo un’indagine dell’UN Women UK secondo cui il 97% delle donne tra 18 e 24 anni ha riferito di aver subito molestie, sembra levarsi l’urlo più alto; dopo l’uccisione della 33enne Sarah Everard, si è tenuta a Londra una veglia in sua memoria: “Stava solo tornando a casa” recitano i cartelli stretti da mani che fremono di rabbia.  Dove sta il limite, dove finisce la bieca crudeltà dell’essere umano, dove inizia davvero la libertà di tutti e di tutte?

 

Sulla stessa ondata di desiderio di libertà, parliamo della libertà di espressione che il governo spagnolo è dichiarato colpevole di aver sottratto ad una figura pubblica: un rapper accusato di terrorismo per le sue parole taglienti e aspre, sì, ma davvero tanto assurde da portarlo alla reclusione? Pablo Hasèl – e le proteste che da Barcellona hanno dilagato a Valencia, Madrid, Bilbao – parlano dell’abuso di potere di un regime monarchico, quello di re Felipe VI, che soffoca nel silenzio qualunque tentativo di denuncia sociale.
In Italia i contagi dovuti alla pandemia di COVID19 sono aumentati vertiginosamente nelle ultime settimane, oscurando quello spiraglio di luce che ci sembrava di scorgere all’inizio di febbraio. La penisola è di nuovo quasi totalmente in zona rossa e, dalle quattro mura in cui ci sembra di essere rinchiusi da sempre, ci chiediamo quando potremo essere di nuovo liberi di oltrepassare la soglia e poter superare il supermercato sotto casa. E ancora, abbiamo visto spiazzati dimettersi l’ex segretario del PD Nicola Zingaretti in un clima di totale confusione, con le conseguenti elezioni per il suo successore.
Infine, inauguriamo la rubrica sull’ambiente a seguito della giornata mondiale dell’orso polare, tenutasi il 27 febbraio scorso. Il numero di specie a rischio di estinzione aumenta sempre di più, come la preoccupazione delle generazioni più giovani davanti all’invalicabile problema del cambiamento climatico. “We’ve got five years, my brain hurts a lot/We’ve got five years, that’s all we’ve got” cantava David Bowie in Five years, datata 1972, facendo già riferimento al poco tempo a disposizione per la Terra prima di un finale catastrofico. Potesse vederci adesso, Bowie non sarebbe molto contento; e dire che ci aveva anche avvertito!

 

Margherita del Duca
IIA
Per la redazione dell’Urlo tutta

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Care lettrici e cari lettori,

più o meno un mese fa ci hanno chiusi dentro. Letteralmente.

Le misure restrittive per evitare il diffondersi del COVID-19 sono state improvvisamente estreme e nessuno se l’aspettava; siamo stati colti alla sprovvista ed è stato necessario imparare ad adattarsi in pochi giorni ad una situazione completamente nuova.

Siamo passati quindi dall’insultare il ragazzo cinese che vive nel palazzo a fianco, all’imparare a cucinare il riso alla cantonese meglio di lui per far passare il tempo.

È una buona occasione per portare a termine “l’eterno inconcluso”, dicono gli ottimisti, per finire il “film-lasciato-a-metà” per eccellenza, per imparare una nuova lingua o che so io. C’è perfino chi l’ha vista come l’occasione perfetta per salvarsi in tempo per la prova costume. Nascono nuovi hobby e nuove cose insopportabili: nella quarantena, così come nella vita, non si finisce mai di imparare. Si recuperano rapporti, se ne perdono il doppio, ne nascono di nuovi. Si comprende per la prima volta il vero significato di “famiglia” e cosa significa non averne una. Ci si trova di fronte a tutti i “ne parliamo dopo”, ai veri rimproveri e alla follia che sta nascendo, senza via di scampo.

Hanno anche preso piede sentimenti cattivi, che alle volte dilagano e straripano nelle case come un fiume in piena. Le persone hanno imparato cosa vuol dire sacrificio, solidarietà, perfino solitudine.

Quello che fa più male però è il sentimento di impotenza: realizzare che l’unica cosa che si può effettivamente fare per aiutare il mondo è restare in quattro mura, mentre negli ospedali c’è la gente che muore e chi si affanna perché ciò non accada ma a volte può solo guardarla morire.

Noi de L’Urlo siamo qui, ancora una volta, a parlare di ciò che ci mostrano in TV e anche di ciò che, purtroppo, ci viene tenuto nascosto. E cercare di resistere alla situazione quarantena significa continuare come possiamo, oltre l’assenza fisica. Siamo noi a doverci mobilitare per diffondere l’informazione, più di chi di dovere.

La svolta dittatoriale che sta prendendo l’Ungheria e l’invocazione di protesta che riecheggia in Europa sono l’unico argomento degno di affiancare il COVID19 nei telegiornali. Ruolo, al contrario, di cui evidentemente non sono degni i fatti di telegram legati al revenge porn che negli ultimi giorni stanno letteralmente spopolando sui social.

Le notizie che ultimamente stanno sconvolgendo internet e ognuno di noi nel profondo non vedono più dunque il virus come protagonista, bensì gli aspetti più negativi della natura umana, che stanno emergendo proprio in questa situazione di disagio.

 

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Forse si tratta di una qualche prova a cui la Natura sta sottoponendo l’umanità, una bella batosta per farci sentire come si sente lei ogni giorno davanti ai nostri soprusi nei suoi confronti. Bene, allora. Che la lontananza e la solitudine possano portarci consiglio più di quanto una singola notte abbia mai fatto.

Forse sì, è stata la Natura, forse è stato il destino, forse soltanto un pipistrello, eppure eccoci qua. Nessuno sa come andrà a finire questa storia, ma davanti al bollettino delle sei la speranza prende forma e diventa quasi viva, quasi umana, e osserva silenziosa le grandi cifre che si susseguono. Poi a testa bassa si allontana: “Tornerò domani”, pensa.

 

Margherita del Duca
IIIA
Per la redazione dell’Urlo tutta

Era il 1764 quando Voltaire pubblicò per la prima volta “Il dizionario filosofico”.

Quest’opera si rivelò estremamente necessaria e rivoluzionaria per il diciottesimo secolo e ne stravolse gli assetti ideologici e sociali. Con il tempo, però, un prodotto come quello potrebbe ora apparire a noi banale ed inusuale.

Ma perché questo? La risposta non è semplice, ma neanche troppo complessa; tutti, infatti, sappiamo che già da quasi un ventennio si sta diffondendo a macchia d’olio un fenomeno tipico del nostro tempo: si sta perdendo il valore delle parole. Parole che, nelle loro innumerevoli accezioni e sfaccettature, si estendono a ventaglio su un piano di dislivelli ideologici, politici, culturali, sociali e/o economici. Grande è la loro dinamica versatilità e, pertanto, inevitabile il conseguente ‘abuso’ che può esserne fatto. Basti prendere come esempio la parola “olocausto” o “genocidio”: quante volte è stata ripetuta ed, eventualmente, strumentalizzata? Nel continuo riflusso di queste parole, si è sviluppata progressivamente una banalizzazione del concetto che contengono. Di conseguenza viene meno anche quella sensibilità che dovrebbe esser connaturata in ciascuno di noi e che impedisce la strumentalizzazione di alcune fragili parole ‘speciali’ che dovrebbero esser preservate. Questa fragilità, però, sembra esser accarezzata con guantoni da pugilato: nella finta inconsapevolezza di esse si nasconde un rifiuto puerile di riconoscerne il valore morale da districare nella sua pingue complessità semantica. 

L’assenza di una precisa configurazione di ogni parola è anche la causa per cui, spesso e volentieri, le informazioni che vengono diffuse dai mass media e dalle testate giornalistiche sono travisate, non complete e, invece di essere fonte di precisa informazione per la popolazione mondiale, diventano un ulteriore motivo di confusione. La conseguenza principale così non sarà nient’altro che un susseguirsi inarrestabili di catastrofi sociali, etiche (oltre che ambientali, politiche ed economiche) che minano una stabilità di cui una “società liquida” come la nostra ha bisogno più che mai.

 

Camilla Panniello
IVE
Per la redazione dell’Urlo tutta

Una società in cui “si è rotta la storia” (dice Ezio Mauro nell’editoriale de “La Repubblica”), in cui è venuto meno il “legame sociale”, ovvero “il vincolo civico che crea uno scambio implicito di responsabilità tra i cittadini”, in cui il cittadino “si sente fuori da quel vincolo, e nello stesso tempo sciolto da ogni obbligo. Libero di varcare il limite, cioè autorizzato a farlo”, continua Mauro nello stesso editoriale. E a varcare questo limite sono stati i neo-nazisti di Mondovì, che hanno verniciato la porta del figlio della ex partigiana Lidia Beccaria Rolfi di una scritta antisemitica “Ebreo qui”, con tanto di stella di David (utilizzata durante il periodo nazista per identificare i giudei). Ma non è stato solo spreco di vernice: è la chiara affermazione visiva del rifiuto puerile, della finta inconsapevolezza della parole, del fatto che “chi ignorava gli allarmi di questi ultimi anni, i richiami striscianti del fascismo, la ferocia del linguaggio, la brutalità della politica, e banalizzava ogni regressione azzerandone il significato, oggi si trova davanti un’immagine iconica dell’oscurità in cui stiamo precipitando” (Ezio Mauro). Banalità, superficialità, ignoranza sono solo il prodotto di una storia che ha perso la sua tridimensionalità, che si è allontanata quanto più possibile dal primario valore paideutico che i Greci le avevano affibbiato. Sempre i Greci, inoltre, alle parole si rapportavano con una cura certosina e di ognuna allargavano l’orizzonte di significati ed anche l’intonazione e la pronuncia, forse perché per primi ne avevano compreso il valore. Il Miracolo greco, sì, quel miracolo... da questo sembriamo lungi anni luce, mille passi indietro, quando di passi in avanti ne abbiamo fatti anche più del dovuto.

Considerando come vera quest’affermazione, crediamo quindi che le parole debbano in ogni occasione esser presentate come esatte, i cui accostamenti o espressioni devono esser concretizzati partendo dalla presenza di un passato che può insegnare all’uomo nell’ottica della costruzione del futuro. 

L’esattezza delle parole: ricorda Calvino. Perché esattezza? Perché in un mondo in cui risposte non ci sono e a crescere a dismisura sono le domande -che, alla fine, diventano le risposte- c’è bisogno di fare un po’ di chiarezza su un fenomeno che, ogni volta, deve esser contestualizzato.

 

Care lettrici e cari lettori,

prima di farci un’opinione, di confrontarci e di agire, noi de L’Urlo ci guardiamo intorno, senza alcuna pretesa se non il sacrosanto bisogno di capire cosa sta succedendo e soprattutto perché.

Ora come ora siamo spettatori di un mondo in subbuglio in cui il protagonista indiscusso è senz’altro un fermento generale che accomuna molti paesi e che si traduce in una vera e propria dimostrazione di dissenso globale, sintomo di una scissione innegabile tra governo e popolo. Una frattura in alcuni casi legittima e facilmente interpretabile, come quella che separa Hong Kong dalla Cina, ma difficile da concepire negli Stati che si definiscono democratici, lasciando sorgere spontanea una domanda: se i governanti per essere tali devono ottenere il consenso dei governati, come si spiegano queste contrapposizioni sociali così radicali e partecipate? Inoltre le motivazioni che spingono i manifestanti a scendere in piazza si configurano, per la maggior parte, come necessità di cui la democrazia dovrebbe essere garante: il rifiuto di una povertà dilagante in Cile, Haiti ed Ecuador; la lotta contro la corruzione in Libano e in Egitto; il bisogno di servizi di base in Iraq; oppure la richiesta d’indipendenza in Catalogna e l’opposizione verso scelte politiche non popolari in Francia e Gran Bretagna. A far traboccare i vasi sono state effettivamente piccole e quasi impercettibili gocce (l’aumento dei prezzi dei trasporti pubblici, le abolizioni dei sussidi per il carburante, l’imposizione di una tassa sulle chiamate WhatsApp ecc…), ma, oltre alle proteste, cos’altro è emerso? L’evidenza che nei sistemi democratici vigenti sta venendo a mancare il principio cardine su cui dovrebbero fondarsi, ovvero una rappresentanza sincera delle volontà dell’elettorato e non assoggettata ad una logica di mercato che pretende di mettere in secondo piano l’esigenze della popolazione.

Per dare il bentornato ai nostri fedeli lettori e il benvenuto ai nuovi, vi presentiamo tutte le riflessioni scaturite da questo scenario che non poteva lasciarci indifferenti. D’altronde pensiamo l’abbiate capito: noi de L’Urlo abbiamo qualche difficoltà a stare zitti.

 

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Giordana Artiaco
V E
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