top of page

2020-2021: i nostri articoli

L'ONDA

Valentina Scarpato     Giuseppe Fontana
IVE

L’onda è un film tedesco del 2008 diretto da Dennis Gansel e tratto dall’omonimo romanzo di Todd Strasser, che racconta le vicende del professor Rainer Wenger nella Germania dei primi anni 2000.

 Il protagonista dà il via ad un esperimento con la sua classe per dimostrar loro che, nonostante gli errori passati, è possibile instaurare un regime dittatoriale attraverso la manipolazione delle masse.

 La situazione, però, gli sfugge di mano ed, in breve tempo, il gruppo creatosi inizialmente come una simulazione di dittatura, l’Onda, prende vita propria e diventa sempre più pericoloso.

La stabilità del gruppo si basa su alcune regole, che hanno lo scopo di far nascere un senso di unità e identità tra i ragazzi, come indossare lo stesso abbigliamento, una sorta di divisa.

Andando avanti col tempo, però, aumenta l’ostilità dei ragazzi verso coloro che non si dimostrano devoti all’Onda, sentimento che li porta a compiere azioni violente per difendere e diffondere la loro ideologia.

La scelta di ambientare il racconto in Germania, in una scuola e in una città non precisate, sembra voler comunicare che un evento del genere possa accadere ovunque. 

Il film pone l’attenzione sull’importanza dell’individualità e, soprattutto, sulla plasmabilità delle menti dei giovani, in particolare sui notevoli risultati che l'influenza di una persona carismatica può avere su di loro.

 Molti degli alunni, avendo alle spalle famiglie con disagi, vedono nell’Onda un modo di sentirsi per la prima volta parte di qualcosa, e trovano una guida nel loro professore che nella gerarchia interna ricopre il ruolo del capo; non si accorgono di come l’Onda però travolga le loro libertà individuali, condizionando le loro vite.

 

Le dinamiche interne al gruppo sono, per molti aspetti, somiglianti a quelle che, dopo la Prima guerra mondiale, hanno portato all’affermazione del Fascismo in Italia e del Nazismo in Germania: due paesi in una situazione precaria che hanno visto una speranza nei regimi totalitari, instaurati da due leader carismatici e capaci di manipolare le masse.

Come questi regimi si avvalsero degli strumenti di comunicazione veloce, quali il cinema, la radio e giornali, per la propaganda, nell’era moderna gli strumenti per quest’ultima sono ancora più efficaci: un esempio attuale sono le elezioni presidenziali americane, durante le quali alcune celebrità, tramite i propri social network, si sono schierate a favore di uno o dell’altro candidato, certamente influenzando in molti casi il loro vasto seguito.

Ma la manipolazione delle masse è oggetto di critiche e controversie da millenni.

Una delle accuse, infatti, che erano mosse dagli oppositori della democrazia ateniese  era proprio che il popolo si lasciasse facilmente influenzare dai demagoghi e pertanto non dovesse prendere parte attiva alla vita politica.

È interessante, dunque, chiedersi se sia sempre giusto che la popolazione prenda decisioni in alcuni ambiti specifici: è il caso, ad esempio, del referendum che si tenne sul nuovo programma elettronucleare nel 2011, dove non tutto il corpo elettorale poteva essere bene informato sul tipo di energia.

Un’altra domanda da porsi è se sia giusto dare la possibilità di esprimere un’opinione politica che si trasforma poi in un voto concreto a ragazzi così giovani, che hanno, tendenzialmente, rispetto agli adulti, meno probabilità di aver raggiunto una maturità politica tale da poter intervenire in molte delicate questioni

THOR, CAP E POI CI SONO LORO

Sara Manco       Elena Boccagna
IIC                         IVE

Quando il 28 agosto 2020 l’attore statunitense Chadwick Boseman, conosciuto per il suo ruolo di Black Panther nel Marvel Cinematic Universe, è venuto a mancare, una delle domande che un po’ tutti si sono posti è stata “e ora chi sarà Black Panther?”, si parlava di usare la CGI e creare un Chadwick virtuale, quando la soluzione più ovvia e preferita dai fans è quella di far diventare Shuri (Letitia Wright), la sorella dell’eroe, la nuova Black Panther.

Black Panther è un film che alla base ha l’afro-futurismo, un genere non lineare che unisce passato, presente e futuro attraverso lenti culturali afroamericane. È stato duramente accusato da alcuni di essere “troppo politically correct”, e ha ricevuto critiche per i ruoli “stereotipati” ricoperti dai pochi attori bianchi nel film. È ironico il fatto che se si fa questa critica a parti invertite, si viene accusati di eccessivo moralismo. In ogni caso, Black Panther è in realtà un film assolutamente innovativo, essendo il primo cinecomic interamente ambientato in Africa, mostrandone una cultura non stereotipata, senza luci gialle o bellissimi tramonti sulla savana.

Con un esercito composto da abilissime donne e con a capo degli scienziati Shuri, la giovane sorella del re che senza la quale sarebbe perso, le donne di questo film salvano sempre la situazione, sono sagge e intelligenti, ma quest’elemento nell’MCU è spesso presente, da Natasha Romanoff (Scarlett Johansson), ex spia russa, passando per MJ (Zendaya), intelligente sedicenne amica di Spiderman, fino a Valkiria (Tessa Thompson), che prenderà il posto del Dio Thor come sovrana di Asgard, a differenza delle guerriere del mondo di eroi rivale, la DC Comics che ha abbandonato per un po’ quell’idea che tutti avevamo di “supereroi seri” con quel taglio più dark che è un tratto distintivo del regista Zack Snyder.

Nei tre film, Aquaman (2017), Justice League (2017) e Wonder Woman (2018) abbiamo visto mettere in scena eroine “tutto fumo e niente arrosto” oppure “tutta bellezza e niente cervello” tanto che Wonder Woman (Gal Gadot), Diana l’amazzone, nell’omonimo film del 2017 ci appare come una donna dalle grandi capacità di combattimento ma che non sa neppure riconoscere un orologio; e poi Mera (Amber Heard) in Aquaman la regina del mare con i capelli e le squame alla Ariel de La Sirenetta che abbandona il suo regno per un uomo terrestre, esattamente come Diana, e si ritrova a saltare da un tetto all’altro in Sicilia assieme al protagonista (Jason Momoa).

È quasi come se i film che la DC ha rilasciato nelle sale tra il 2017 e il 2018 fossero in gara “a chi fa uscire prima” con la Marvel, dimenticandosi di rendere i film quanto meno interessanti e lasciandosi alle spalle il tanto amato dal pubblico “taglio alla Snyder”.

Certo, colorati e con belle colonne sonore, ma i personaggi femminili o combinano guai, come Lois Lane, o non sono troppo sveglie, come Diana, ma di certo hanno qualcosa in comune: la loro vita dipende da quella di un uomo.

È preoccupante vedere un film che dà l’impressione che i creatori si siano soffermati più sulla bellezza dei personaggi e degli attori che al contenuto e al significato della storia.

Nell’MCU i personaggi femminili sono indipendenti, più forti di quelli maschili o alla pari, sono intelligenti e divertenti, elementi che rendono i film della Marvel più inclusivi e interessanti, certo anche in questo universo di eroi c’è qualcosa che non quadra, ad esempio le divise delle donne che spesso coprono ben poco per delle guerriere o il loro combattere spesso con i tacchi che, diciamocelo, è poco realistico ma tanto di cappello.

Questi costumi hanno, tra l’altro, l’infelice funzione di attirare su di sé buona parte delle domande degli intervistatori, come se a indossarli ci fossero dei manichini, e non delle bravissime attrici con anni di esperienza alle spalle. Attrici che più di una volta sono state costrette a far notare quanto quelle domande fossero fuori luogo, come fece Scarlett Johansson quando le fu chiesto cosa indossasse sotto il costume, per poi sentirsi rispondere con un sorrisetto e un “chiedevo soltanto, perché quella tuta è davvero aderente!”

Molto dibattuta è stata la scena definita di “girl power” in Avengers: End Game, dove è stata dedicata una breve sequenza alle eroine, conclusasi con Captain Marvel, la prima ad avere un film tutto suo, che arriva a salvare la situazione, molti l’hanno definita “inutile” o “ridicola”, ma noi l’abbiamo trovata bella e per nulla forzata, bello come quando gli Original 6 (Vedova Nera, Thor, Capitan America, Occhio di Falco, Hulk e Iron-man) sono nella stessa scena oppure come quando eroi dello stesso calibro o che condividono qualcosa, collaborano.

IL DANTEDÌ

oggi, come settecento anni fa

Chiara Civita
IVA

Questo è un anno particolarmente significativo anche per il mondo della cultura che, nonostante attualmente sia uno dei settori più colpiti dalla crisi causata dalla pandemia, non smette di celebrare e di ricordare i grandi personaggi che hanno contribuito a realizzare e a scrivere la storia che oggi leggiamo nei libri di scuola. 

Tra questi sicuramente non può mancare Dante Alighieri, fondatore della lingua italiana, padre della letteratura – nonché autore di uno dei capolavori più conosciuti a livello mondiale – tuttora ritenuto il rappresentante della nostra cultura e, soprattutto, il simbolo del nostro paese.

Nel 2020, infatti, il Governo Italiano, su proposta dell’attuale Ministro della cultura Dario Franceschini, ha istituito il Dantedì, una giornata dedicata al Sommo Poeta, durante la quale si svolgono delle attività, didattiche e non, in suo onore.

La data in cui è fissato il Dantedì è il 25 Marzo, in quanto i dantisti – gli studiosi del culto e del mondo dantesco – ritengono che il viaggio nell’aldilà narrato nella Divina Commedia avesse avuto inizio in quel giorno. Quest’anno, inoltre, tale evento acquisirà maggiore importanza, poiché coincide con il settecentesimo anniversario della morte di Dante Alighieri, avvenuta nel 1321.

La preparazione dell’evento avviene circa la settimana prima del 25, ma quest’anno, essendo particolarmente importante, è cominciata già all’inizio del mese.

Dal 21 al 25 Marzo, infatti, la Rai propone i novantanove canti più uno di introduzione della Divina Commedia, interpretati, per la prima volta, soltanto da una donna e registrati presso il teatro Faraggiana, a Novara.

Numerose sono le iniziative in programma per celebrare il Dantedì, ma, a causa dell’emergenza sanitaria che stiamo vivendo, queste si svolgeranno esclusivamente a distanza.

Queste attività avranno luogo principalmente nelle scuole e, pertanto, coinvolgeranno maggiormente gli studenti, che parteciperanno ad attività svolte esclusivamente in modalità digitale.

La Galleria degli Uffizi di Firenze e la Direzione dei Musei Statali della Città di Roma pubblicheranno delle illustrazioni della Divina Commedia, affiancate da alcuni versi dei canti che esse raffigurano.

Saranno resi visibili anche alcuni cortometraggi, come quelli realizzati dagli studenti dell’Università di Bergamo. A Forlì si metterà in scena un flash mob in cui trentatré cantori reciteranno la prima e l’ultima terzina di ogni canto, mentre a Rimini, dal tramonto del 24 all’alba del 25, verranno proiettate sui Palazzi Comunali le performance degli studenti che, in occasione della Festa delle Donne, hanno interpretato i versi del canto che ha come protagonista Francesca da Rimini.

Numerose dirette avverranno a Ravenna – luogo di morte del poeta –, durante le quali verranno mostrati anche i luoghi percorsi da Dante nel corso della sua vita.                                 Proprio nella settimana del Dantedì, a Napoli, è stato ritrovato uno dei primi manoscritti dell’opera dantesca, risalente al 1350-1375, che, in occasione della celebrazione del Sommo Poeta, sarà esposto online dalla Biblioteca Nazionale Vittorio Emanuele III, nella sua teca digitale.

Una Lectura Dantis, importante nella celebrazione del Dantedì, sarà trasmessa in diretta dalla Rai: il 25 Marzo, alle ore 19, Roberto Benigni, al Quirinale e in presenza del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, leggerà ad alta voce alcuni versi della Divina Commedia.

La Divina Commedia è un’opera che si sta riscoprendo proprio in questo periodo di pandemia e, soprattutto, si sta rivelando più attuale che mai. In particolare, l’ultimo verso del XXXIV canto, con cui si conclude l’Inferno, – “E quindi uscimmo a riveder le stelle” – rappresenta un messaggio di speranza.

Il Dantedì è una giornata in cui si ricordano Dante e la sua Commedia, che sono studiati, letti e analizzati ancora oggi, come settecento anni fa.

DONNE E CINEMA: L'OTTO MARZO NELLA SETTIMA ARTE

Margherita Del Duca 
IIA

Il percorso della donna nell’ambiente cinematografico è, dall’avvento del cinema, in continua evoluzione. Non sempre ai ruoli femminili è stata conferita la giusta identità, per la maggior parte costruita dall’uomo e spesso deviata dalla storia. Agli esordi vediamo donne la cui unica prospettiva caratteriale è l’amore, per cui sono inesorabilmente intrecciate al personaggio maschile di turno. La realtà femminile è divisa tra la femme fatale, seduttrice e amante (essenzialmente prostitute), e la donna vergine “del focolaio”, spesso solo una moglie in assoluto secondo piano. Negli anni ’30, nonostante il Codice Hays sopprimesse qualunque tentativo di insubordinazione dei personaggi femminili all’uomo – comunque aggirato da registi come John Ford o Alfred Hitchcock – abbiamo il primo film saffico della storia cinematografica mondiale, Ragazze in uniforme (1931, dir. Leontine Sagan). Nel 2019 abbiamo il più recente adattamento cinematografico di Piccole donne, scritto e diretto da Greta Gerwig: oltre ad essere stato accolto positivamente dalla critica, il film è stato vincitore di numerosi premi, tra cui l’Oscar per migliori costumi per Jaqueline Durran, e il Critics’ Choice Awards per la miglior sceneggiatura non originale. La Gerwig aveva già debuttato come regista nel 2017 con il delicatissimo Lady Bird, in cui Saoirse Ronan interpreta una protagonista affamata di vita, che guarda al futuro con grande desiderio e ambizione; gli stereotipi sono spesso ribaltati e non si avverte mai l'ombra di “sentimentalismi consolatori”. Simile è il personaggio di Frances, interpretata dalla stessa Gerwig in Frances Ha (2012, dir. Noah Baumbach), anche lei una donna senza limiti e protagonista assoluta della scena. Un'altra personalità annoverata tra i registi del nuovo cinema statunitense è Sofia Coppola, la prima donna negli USA e la terza in assoluto ad avere ottenuto, nel 2004, una candidatura all'Oscar al miglior regista per il pluripremiato Lost in Translation - L'amore tradotto (Miglior sceneggiatura originale). 

Passando ad un contesto più macabro, il cult American Psycho (2000), vincitore di tre awards tra cui “miglior film”, vede una regia al femminile con Mary Harron, che nel 1996 aveva già diretto il film drammatico-biografico Ho sparato a Andy Warhol. Allontanandoci da Hollywood, un altro esempio di cinema al femminile è Ritratto della giovane in fiamme (2019), con cui la regista e sceneggiatrice Celine Sciamma ha vinto il premio per la sceneggiatura al Festival di Cannes.

Il film è ambientato in Francia alla fine del XVIII secolo e vede protagonista il delicato quanto tragico amore tra Heloise e la pittrice Marianne. Nel campo dell’animazione, la Walt Disney Pictures è sempre stata celebre per l’impianto machista dei suoi cartoni, nella maggior parte adattati da racconti della tradizione.

L’impostazione della principessa-che-viene-salvata-dal-principe-azzurro ha iniziato a essere messa in discussione neanche troppo tempo fa: con Ribelle – The brave (2012) abbiamo il primo esempio di principessa che rifiuta qualunque legame matrimoniale con ciascuno dei pretendenti che le viene presentato, i quali tra l’altro ben prescindono dall’idea tradizionale di principe. La regia di Brave è di Mark Andrews e Brenda Chapman, prima donna in assoluto a dirigere un film della Disney; vediamo poi Jennifer Lee non solo regista (insieme con Chris Buck) dell’amatissimo Frozen (2013) e del sequel, Frozen II (2019), ma anche produttrice dell’ultima uscita Raya e l’ultimo drago (2021) e sceneggiatrice per Zootopia (2016) e Ralph Spaccatutto (2012). 

La direzione è comunque – come ci si aspetta che sia nel XXI secolo – in salita, il range di film con ruoli femminili definiti da una propria identità è sempre maggiore: donne “fuori posto” ma non sbagliate, guerriere ma non per somigliare all’uomo, innamorate ma non dipendenti. La sfera dei ruoli è in continua evoluzione, e le figure di registe, produttrici, sceneggiatrici possono contribuire a mettere in discussione l’intera società, verso un’uguaglianza che possa distendersi in ogni angolo, anche e soprattutto nel campo dell’arte.

IL TEATRO AI TEMPI DEL COVID

Elena Boccagna       Vincenzo Lucci 
 IVE

Tra le categorie di persone che sono state pesantemente colpite dalla pandemia, al primo posto ci sono senza dubbio tutti coloro che lavorano nel mondo dello spettacolo. La prima chiusura dei teatri risale al 4 marzo 2020, e in sarebbe dovuta durare fino al 3 aprile. Poi però, proprio come avvenuto per le scuole, la riapertura è stata rimandata e rimandata, fino a metà luglio. Sono rimasti aperti per tutta l’estate e sono stati chiusi di nuovo ad ottobre. Destino diverso hanno avuto i cinema, che sono stati riaperti, con le dovute restrizioni, all’inizio della seconda fase dell’emergenza. Come per i teatri, però, la riapertura non è durata a lungo. Inoltre per i teatri non ci sono state misure intermedie, niente aperture con limitazioni, eccetto quella di luglio, che però è stata più apparente che altro. Tutto questo è stato giustificato dicendo che teatri e cinema sono luoghi di assembramento, e quindi ad alto rischio. Ma forse il motivo principale è che la cultura è poco redditizia per il Paese. Basti pensare a ristoranti, alberghi, centri commerciali, che, pur tra mille difficoltà, si è fatto di tutto per tenere aperti. Durante la pandemia COVID 19, quindi, teatri e cinema sono stati del tutto trascurati.

Il presidente dell’AGIS (Associazione Generale Italiana dello Spettacolo) Carlo Fontana ha scritto una lettera all’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte e al ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, Dario Franceschini, dopo il DPCM del 25 ottobre 2020 in cui brevemente esprimeva la sua contrarietà alla chiusura di cinema e teatri, dicendo anche che secondo una ricerca effettuata da loro e trasmessa alle istituzioni ed agli organi di informazione, i luoghi di spettacolo si sono rivelati tra i più sicuri spazi di aggregazione sociale. 

In effetti ci sono diverse soluzioni per far riaprire cinema e teatri in completa sicurezza. Basterebbe far sedere il pubblico in poltrone alternate, come si è già fatto a maggio con i cinema. Non sono  tanto il cinema o il teatro ad essere luoghi di contagio, ma il problema maggiore sono i mezzi di trasporto oppure gli assembramenti fuori ai locali che si potrebbero risolvere benissimo con dei controlli efficaci. 

Durante i lockdown ci sono stati diversi scioperi e manifestazioni per rendere più sicuri i mezzi di trasporto, ma il governo non ha fatto assolutamente niente e questo purtroppo sarà il motivo dell’aumento di contagi in caso di riapertura di teatri, cinema, scuole, ecc.

La chiusura dei cinema, inoltre, aggrava il già noto problema della concorrenza di piattaforme streaming come Netflix, Prime Video, Disney +, e tante altre, che, soprattutto in questo periodo come negli ultimi anni stanno avendo grandissimo successo. 

Vedere un film da casa certamente può risultare molto più comodo che guardarlo al cinema, ma si perde l’interazione sociale con le altre persone. Inoltre questo rappresenta un grave problema per chiunque col teatro e col cinema ci guadagna da vivere. Si è provato a contrastare questo problema, ad esempio facendo spettacoli in diretta streaming, ma non è la stessa cosa. Infatti fin dall’antica Grecia, gli spettacoli teatrali non erano fatti soltanto dagli attori, ma anche dal pubblico, che partecipava e interagiva con gli attori in scena. Il teatro, quindi, non può essere rimpiazzato da nessun surrogato online: ha bisogno di un palcoscenico e, soprattutto, di un pubblico.

Tantissimi attori nel panorama pubblico si sono battuti per la riapertura di cinema e teatri, hanno fatto decine di appelli, di manifestazioni, di programmi TV, di proteste. Un gruppo di giovani artisti, per esempio, si è stabilito nel teatro Bellini di Napoli, con la promessa di rimanerci fino alla riapertura dei teatri. Fino ad ora non è cambiato niente, ma sarebbe bello tornare finalmente al cinema a gustare un bel film con una ciotola di pop corn e una lattina di coca cola, oppure assistere a un’opera di Verdi o di Puccini a teatro, comodamente seduti in un palco. Forse solo in quel momento potremo dire di esserci lasciati la pandemia alle spalle, e quello sarà un passo in più verso l’ambita normalità.

OMERO FUORI DALLE SCUOLE STATUNITENSI

Elena Boccagna IVE
Niccolò popolo IIIC

Da anni, ormai, sta imperversando una lotta politically correct, che ha portato, di recente, a un nuovo movimento chiamato DisruptTexts, che, come dice il nome, si impegna a rimuovere dal programma scolastico testi considerati “razzisti” o “non al passo coi tempi”. In una scuola del Massachusetts i fautori di questo movimento sono arrivati a bandire l’Odissea dal programma scolastico. Secondo gli insegnanti della Lawrence High School, infatti, il poema omerico è colpevole di promuovere la mascolinità tossica, il sessismo e di non essere “al passo coi tempi” (cosa ironica se si considera che l’Odissea è stata messa per iscritto più o meno venticinque secoli fa). Un’insegnante della suddetta scuola si è dichiarata “molto orgogliosa di dire che finalmente abbiamo rimosso l’Odissea dal curriculum scolastico!”, dicendo che eliminando opere di idee antiquate si arriverà alla formazione di “un mondo più giusto”.                                                            Non sappiamo che poemi omerici abbiano letto loro, ma in quelli che abbiamo letto noi gli eroi sono uomini provenienti da ogni parte della Grecia, uomini che manifestano le loro emozioni in modi che oggi sarebbero considerati “poco virili”. Sono uomini che piangono, che stringono legami profondissimi (vedi Achille e Patroclo), che amano e che odiano con tutto il loro animo. Non mancano forti figure femminili, ma riconosciamo che siano in netta minoranza rispetto a quelle maschili. Questo, però, va attribuito semplicemente a un’opera figlia dei suoi tempi, e non a un mirato intento sessista: nell’antica Grecia le donne non andavano in guerra. Ma se anche così non fosse, censurare un’opera, soprattutto di questo calibro, non aiuterà i ragazzi a costruire un mondo più giusto, ma limiterà la formazione del loro pensiero critico. Tra l’altro bandire l’Odissea vuol dire negare un’intera realtà storica. Quindi, pur volendo negare l’importanza e la bellezza letteraria dell’Odissea, questa rimane una fondamentale fonte storica. Quindi non solo è stata una mossa limitante e inutile, ma potrebbe perfino dimostrarsi dannosa, come quasi ogni tentativo di censurare opere letterarie o cinematografiche.    

Sembrerebbe che questo movimento “intellettuale”, se così si può definire, abbia operato un eccesso di zelo in quanto siano partiti con una nobile causa e sono giunti a condannare un'opera, ma se si applicasse un minimo di contestualizzazione storico-culturale si vedrebbe cadere ogni capo d'accusa.

Come ben si sa, in ogni opera si potranno scorgere aspetti diversi a seconda del periodo storico in cui la si legge e in base a ciò essa potrà trasmetterci delle emozioni e delle impressioni piuttosto che altre. Un lettore contemporaneo consapevole della realtà storica in cui è immerso e della differenza con quella in cui è stata messa per iscritto l'Odissea, potrà trovate dinamiche inquadrabili come razziste, xenofobe, misogine o altro; ora l'obiettivo non è certamente difendere ma piuttosto comprendere che in quei contesti e in quei periodi tali vicende costituivano la normalità. I poemi omerici, inutile ricordare che costituiscono il fondamento per la cultura europea se non mondiale, non sono solo testimonianza, più o meno aderente alla realtà, di epoche ormai passate, ma sono egregi portavoce di quegli aspetti dell'uomo che riescono a sopravvivere al tempo, le emozioni, quelle primigenie, sempre attuali, che in ogni momento della storia dell'uomo si possono riscontrare. Onore, pietà, rispetto, pudore, amicizia, amore, attesa, passione, dolore, lealtà sono connaturati all'uomo non possono certamente essere condannati ad una indegna e infondata damnatio memoriae. D'altro canto anche altri autori antichi hanno avuto bisogno di tempi propizi e lettori adatti affinché potessero essere comprese: pensiamo allo stesso Euripide il quale solo nel ‘900 verrà rivalutato in quanto si riuscirà a vedere che la rivoluzione drammaturgica da lui operata portava in sé degli accenni di psicanalisi che verranno riconosciuti solo dopo il consolidamento di questa disciplina. Probabilmente non sono giunti ancora tempi elettori capaci di apprezzare la complessità e l’immortalità dei due capolavori omerici. L'unica cosa che è possibile fare durante questa attesa è preservarli dall'oblio dell'ignoranza.

IL MALESSERE DELLA PERIFERIA

Marcello Gemma
2C

La prima pellicola di Kassovitz, L'odio, abbonda di scene dotate di un angosciante significato, ma è proprio la frase detta con tanta nonchalance a definire il cardine principale di tutte queste scene; il proprietario di una galleria d'arte moderna dopo aver cacciato i protagonisti, Vincent Hubert e Said, pronuncia una sentenza molto precisa, “Il malessere della periferia”. La trama gira attorno alle scorribande di tre ragazzi che abitano in una banlieue vicino Parigi. Questi si incontrano il giorno dopo una violenta manifestazione contro la polizia francese, dovuta al solito episodio di violenza nei confronti di un ragazzo del quartiere finito in ospedale sul punto di morte. E mentre noi seguiamo la giornata di questo trio impariamo anche a conoscerne meglio i caratteri; Vincent è la testa calda che insegue il sogno di essere un criminale vero, vedendo nell'omicidio di un poliziotto il suo battesimo; Hubert invece è sicuramente quello meglio inserito nel sistema della malavita tra tutti e tre, ed infine Said può essere identificato come il più scherzoso ed il più superficiale. La peculiarità di questi tre personaggi è però che nessuno esclude l'altro, si potrebbe addirittura dire che rappresentino tre lati della stessa persona. 

Lo sfondo di tutta la faccenda è dapprima la periferia, in cui i tre non sono altro che l'esempio di vita media che si conduce in quel posto, ma quando arrivano nella capitale francese assistiamo a ben altri scenari, come la sopracitata scena nella galleria d'arte contemporanea; è giusto considerare questa parte del film come un confronto tra due mondi, uno troppo occupato dal reale per perdersi in visioni artistiche di dubbia qualità, l'altro che vacilla continuamente tra il volutamente incomprensibile e la mancanza di significato.

Sicuramente il comportamento dei nostri protagonisti è effettivamente violento, ma è proprio quell'odio intrinseco nel vissuto di una persona il soggetto di questo film; è da questo tipo di pellicole che possiamo osservare come la volgarità sia usata per disobbedienza sociale, come il classismo e la ghettizzazione possano essere la rovina della società, ma soprattutto, come non a tutti sia data una possibilità per quelle strade.

Questo groviglio di significati e simbolismi è accompagnato da una regia tutta in bianco e nero e dalle prove attoriali di Vincent Cassel, Hubert Koundé e Saïd Taghmaoui che ci fanno sentire la pesantezza di quei momenti di tensione e odio. Imprescindibile citare poi i numerosi riferimenti alla cultura hip hop che si sposa benissimo con il contesto trattato.   

La visione di questo film è sicuramente atterrante, dall'inizio alla fine ci si continua a chiedere perché alcune persone siano costrette a vivere in contesti del genere, solo perché più si va in cima nella scala sociale, meno posto ci si trova. Alla fine della fiera potremmo dire che un sunto di questa ora e 38 minuti di visione è dato da due cose, “Burnin' and lootin'” del leggendario Bob Marley, usata nei titoli di coda, e la frase di apertura di Hubert “Questa è la storia di un uomo che cade da un palazzo di cinquanta piani. Mano a mano che cadendo passa da un piano all'altro, il tizio, per farsi coraggio, si ripete: "Fino a qui tutto bene. Fino a qui tutto bene. Fino a qui tutto bene." Il problema non è la caduta, ma l'atterraggio.”

SHINING

Valentina Scarpato     Giuseppe Fontana

                                IV E

Shining è un film cult diretto da Stanley Kubrick e prodotto nel 1980, tratto dall’omonimo romanzo di Stephen King. 

La trama segue le vicende di Jack Torrance, uno scrittore con problemi di alcolismo, trasferitosi nell’Overlook Hotel insieme alla sua famiglia dopo aver ottenuto il ruolo di custode. L’Overlook è un lussuoso albergo sperduto tra le montagne del Colorado, l’ideale per Jack che vorrebbe portare a termine il suo romanzo. Danny, unico figlio dei Torrance, possiede la cosiddetta “luccicanza”, un potere telepatico che offre scorci del futuro. Visioni del passato iniziano ad affliggere il piccolo, mentre Jack lentamente sprofonda nella pazzia, soggiogato dal potere maligno dell’albergo. Questo è il principio di una terribile tragedia familiare. 

 Stanley Kubrick si cimenta per la prima volta nell’horror, ribaltando alcuni stereotipi del genere. L’esempio più lampante è l’uso dei colori: di solito, in questo tipo di film, il male è associato alle zone buie, mentre il bene alla luce; in Shining accade il contrario, tutti gli eventi più drammatici si svolgono in piena luce, mentre le scene buie coincidono con una svolta positiva della storia. Per esempio, quando Jack entra nella camera 237 essa ha già le luci accese ed è perfettamente illuminata. Inoltre, Kubrick mostra da subito la donna in fondo alla stanza, e quando l’uomo si rende conto che è in realtà una vecchia deteriorata il ritmo non accelera repentinamente ma rimane invariato, cosa anomala per un film dell’orrore. In Shining è fortemente presente il tema dell’unheimliche, termine tedesco che indica un elemento a noi familiare ma allo stesso tempo spaventoso. Nel saggio “Il Perturbante”, al quale Kubrick e la co-sceneggiatrice Diane Johnson si sono ispirati, Freud analizza l’ambivalenza di significato di eimliche, che vuol dire sia “familiare” che “nascosto, tenuto celato in modo da non farlo sapere ad altri o da non far sapere la ragione per cui lo si intende celare", diventando quindi sinonimo del suo contrario, unheimliche. Ecco che quindi la casa (intesa anche come famiglia), che associamo all’eimliche, diventa unheimliche. In Shining sono presenti molti elementi che Freud considera unheimliche, come la telepatia e il doppio, tema ricorrente nel film (come con Danny e il suo amico immaginario Tony).  

Shining è un film affascinante per le molte possibili interpretazioni che offre. La prima che salta all’occhio è quella della dinamica familiare, in cui c’è un padre di famiglia violento (Jack), che sfoga le frustrazioni per i suoi fallimenti sulla moglie e sul figlio, e annega la sua vergogna nell’alcol, e la moglie (Wendy), che tende a giustificare i comportamenti del marito convinta che stia cambiando, rimane a badare da sola alla famiglia (Jack accusa Wendy di non comprendere le sue responsabilità in quanto custode dell’albergo, quando in realtà è lei a occuparsi di tutto). Jack è conscio che rischia di alienarsi da tutti e di rimanere solo, e pertanto cerca di ottenere attenzioni comportandosi da vittima (come quando parlando con Lloyd giustifica le sue violenze nei confronti del figlio). Inoltre il film concorda con la filosofia di Aristotele secondo la quale l’uomo è un animale sociale. Questa tematica è più che mai attuale: decreto dopo decreto, limitazione dopo limitazione, rischiamo di perderci nel dedalo di pazzia del nostro personale Overlook Hotel. Un’altra interpretazione possibile, e più complessa, vedrebbe l’Overlook come rappresentazione degli Stati Uniti, una nazione fondata sul sangue dei nativi americani (l’albergo è costruito sopra un cimitero indiano), di cui essa si dice pentita, ma non ne conserva realmente la memoria (la foto inquadrata alla fine del film, mostra delle persone che festeggiano nell’albergo, mancando di rispetto agli spiriti dei nativi indiani) e continua a commettere gli stessi errori (ad esempio, le città statunitensi sono ancora disegnate sulla base del segregazionismo). Jack, allora, simboleggia le nazioni adulte, che sentono il bisogno di imporsi sugli altri.  

Le interpretazioni possibili di questo film sono tantissime, e per questo torniamo sempre a vederlo, curiosi come se fosse la prima volta. 

PREMI NOBEL 2020

Flavio Centofanti
IB

Il premio Nobel è un riconoscimento di valore mondiale, assegnato a persone ancora in vita che si sono distinte nei campi Fisica, Chimica, Medicina o Fisiologia, Letteratura, Pace ed Economia. Voluto da Alfred Nobel, chimico e industriale svedese dal quale prende il nome, i premi sono generalmente assegnati nel mese di ottobre; e ogni 10 dicembre, anniversario della sua morte, si tiene la cerimonia della consegna a Stoccolma, escluso il premio per la pace, che viene consegnato ad Oslo. I suddetti premi vengono assegnati da diverse commissioni o enti a persone facenti parte di una lista strettamente segreta, che viene resa nota solo dopo cinquant'anni. Il premio consiste in un premio di 9 milioni di corone svedesi (869 000 euro).

Nobel per la fisica

Conferito all'astrofisico teorico Roger Penrose (che per un certo periodo collaborò anche con Hawking)  per un articolo pubblicato nel 1965 sul collasso gravitazionale (formazione di un buco nero), dimostrandone la possibile formazione in specifiche condizioni. Il premio è stato conferito  anche ai due astrofisici sperimentisti Reinhard Genzel e Andrea Ghez, che hanno lavorato all'osservazione dei buchi neri, servendosi dell’osservazione di un preciso fenomeno:  osservando la rotazione di varie stelle attorno ad un corpo non identificato,  causa la mancata emanazione di luce, e deducendone, così , la presenza del suddetto corpo celeste,

Nobel per la fisiologia o medicina

Ad Harvey J. Alter, Michael Houghton e Charles M. Rice per la scoperta del virus dell'epatite C, una delle maggiori cause del cancro al fegato, con più di 70 milioni di casi in tutto il mondo. Alla fine degli anni ‘70 Alter osservò che durante le trasfusioni di sangue avveniva una contaminazione di un virus ancora non identificato,  di cui successivamente, nell’89, Houghton ne riuscì ad individuarne la sequenza genetica. Rice, invece, ha analizzato per molti anni il modo in cui il virus si replica, riuscendo a fare molte scoperte a riguardo.

Nobel per la chimica

Il premio Nobel per la chimica è stato conferito a Jennifer A. Doudna e ad Emmanuelle Charpentier, che hanno brevettato un metodo, il CRISPR-Cas9, per sequenziare il DNA in maniera molto precisa: l'RNA riconosce il punto del DNA da modificare e un enzima, il Cas9, lo taglia affinché avvenga. La scoperta è stata fatta intorno al 2011, quando Emmanuelle e il suo team studiavano un batterio che produce l'enzima Cas9, che permette di proteggersi dai virus che lo infettano. L'intuizione di Charpentier consiste nell'usare lo stesso strumento dei batteri per l'editing genetico e ,con la collaborazione di Doudna, si è realizzato quest'ingegnoso metodo che ha permesso alle due scienziate di vincere il Nobel.

​

Digitalizzato_20201122-1535_page-0001.jp

Nobel per la letteratura

Conferito a Louise Glück, poetessa statunitense e vincitrice di molti premi. Tra le sue pubblicazioni più famose troviamo Averno e L’iris selvatico. Ha ottenuto il Nobel grazie alla “sua inconfondibile voce poetica che con l'austera bellezza rende universale l'esistenza individuale”.

Nobel per la pace

Conferito al Programma Alimentare Mondiale (WFP, World Food Programme), associazione delle Nazioni Unite che si occupa di fronteggiare la carenza di cibo nei paesi del terzo mondo, arrivando nel 2019 a fornire assistenza a quasi 100 000 persone in 88 paesi. Nel corso dell’ultimo anno il WFP ha triplicato gli sforzi operando nei paesi in cui pandemia di Covid-19 è andata ad incrementare il numero di persone che già vivevano in situazioni estreme a causa dei conflitti politici.

Nobel per l'economia

Paul R. Milgrom e a Robert B. Wilson si sono aggiudicati il Nobel per l’economia. Si tratta di due economisti teorici americani, appartenenti alla branca della microeconomia, che  hanno dato importanti contributi alla teoria delle Aste. La teoria delle Aste è un ramo applicato della teoria dei giochi che si occupa dei comportamenti individuali nei mercati ad asta e ricerca le proprietà teoriche nei giochi dei mercati ad asta. Milgrom ha formulato la sua teoria considerando i vari fattori delle aste come le informazioni riguardo agli oggetti che hanno i partecipanti o il valore degli stessi. Wilson invece ha sviluppato la sua teoria riguardo alle aste per beni con un valore comune. Entrambi hanno ideato ingegnosi metodi, che dagli anni ‘90 si sono diffusi in molti paesi di tutto il mondo.

 

Ben tre donne quest’anno sono state insignite del prestigioso premio nell'ambito scientifico, dimostrando che anche la comunità scientifica non è più unicamente maschile: la stessa Andrea Ghez è già la quarta donna nella storia ad aver conseguito il Nobel per la fisica.

MODIFICHE AGLI OSCAR

Elena Boccagna
IVE

L’Academy Award, più conosciuto come Premio Oscar o semplicemente Oscar, è il più prestigioso e il più antico premio cinematografico al mondo. Viene assegnato ogni anno dal 1929. I premi vengono conferiti dall’Academy of Motion Picture Art and Science, composta da personalità che hanno portato avanti la propria carriera nel mondo del cinema. Al momento le categorie di premi sono 26, inclusi i premi speciali, come quello alla carriera, che negli anni hanno subito pochissime modifiche. L’Academy ha però annunciato, con una decisione storica, che dal 2024 le regole saranno diverse. Infatti ci saranno nuovi requisiti che un film dovrà avere per poter essere candidato al premio più ambito, Miglior Film. I nuovi standard da raggiungere sono quattro.

Per raggiungere lo Standard A bisognerà rispettare uno di questi criteri:

  1. Almeno uno degli attori protagonisti, o con ruoli di supporto significativi, dovrà appartenere a un gruppo etnico o razziale sottorappresentato (asiatico, ispanico, latino, nero/afroamericano…)

  2. Almeno il 30% di tutti gli attori in ruoli secondari deve appartenere ad almeno due dei seguenti gruppi: donne, gruppo razziale o etnico sottorappresentato, LGBTQI+, persone con disabilità fisiche o cognitive

  3. Il tema del film dev’essere incentrato su uno dei gruppi sopraelencati.

Per raggiungere lo Standard B bisognerà rispettare uno di questi criteri:

  1. Almeno due delle seguenti posizioni di leadership creativa e capo reparti (direttore del casting, direttore della fotografia, compositore, costumista, regista, montatore, parrucchiere, truccatore, produttore, scenografo, scenografo, suono, supervisore degli effetti visivi, sceneggiatore) deve rappresentare uno dei gruppi sopraelencati.

  2. Almeno sei altri membri della crew e/o tecnici devono provenire da un gruppo etnico sopraelencato.

  3. Almeno il 30% della troupe del film deve appartenere a uno dei gruppi sopraelencati.

Lo standard C riguarda stage e apprendistati che la società di distribuzione o di finanziamento è tenuta a offrire.

Per raggiungere lo Standard D si dovrà rispettare questo criterio:

           La compagnia cinematografica deve avere più dirigenti senior interni appartenenti ai gruppi sopraelencati nei loro team di marketing e pubblicità.

 

Queste nuove regole cambieranno ovviamente il genere di film che saranno candidati, favorendo un determinato tipo di film e di storie. Ora, una vittoria agli Oscar non comporta un premio in denaro, ma è di fatto una notevole pubblicità al film, portandolo anche a incassare di più al botteghino.

In realtà i nuovi criteri non sono molto difficili da rispettare, ma ci sono anche film che per forza di cose non possono farlo e che saranno quindi esclusi dalla candidatura, avendo di conseguenza meno pubblicità e incassando meno al botteghino. Dal momento che incasseranno meno, film di alcuni generi verranno realizzati sempre di meno. Inoltre potrebbero essere danneggiati anche gli artisti che, per poter essere considerati agli Oscar, saranno costretti a trattare argomenti o interpretare ruoli di cui potendo scegliere non si occuperebbero e di questo ne potrebbe risentire anche la qualità del film stesso. 

Quindi, sebbene queste nuove norme siano state introdotte al fine di essere più inclusivi, l’effetto che avranno sarà quello di essere molto limitanti. 

Inoltre, non credo che rendere alcune cose obbligatorie sia una mossa inclusiva e al passo con i tempi, perché portare forzatamente l’attenzione su certe tematiche non aiuterà a normalizzarle. Dovendo modificare qualcosa forse sarebbe stato meglio aggiungere nuove categorie, invece di imporre dei limiti a quelle già esistenti, anche per dare spazio, per esempio, a registi emergenti. Il presidente dell’Academy David Rubin ha spiegato che l’intento è quello di “riflettere l’eterogeneità della popolazione”. Anche a Hollywood si è scatenata la polemica. L’attrice Kirstie Alley ha definito la decisione “orwelliana” e “una disgrazia per tutti gli artisti del mondo”.

Forse lei è stata un po’ drastica, ma anche secondo me l’arte dovrebbe essere priva di forzature, ovviamente mantenendosi nel rispetto di tutti.

bottom of page