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2019-2020: i nostri articoli

LIBIA: UNA FARSA DISPLOMATICA

Giordana Artiaco
3E

Meno di un mese fa sarebbe stato inverosimile credere che il presidente turco ErdoÄŸan, il suo omologo russo Putin, l’egiziano al-Sisi, il principe degli Emirati Arabi Uniti Mohammed bin Zayed, il segretario di stato americano Pompeo e il presidente francese Macron avessero potuto accordarsi e firmare una dichiarazione che, all’articolo 6, prevede quanto segue: “Ci impegniamo ad astenerci da qualsiasi ingerenza nel conflitto armato e negli affari interni della Libia, e incoraggiamo tutti gli altri soggetti coinvolti a fare lo stesso”. È invece successo durante il vertice di Berlino del 19 gennaio indetto per trovare una soluzione diplomatica alla guerra civile libica. Considerando che nel suo discorso di capodanno ErdoÄŸan presentava l’invio delle forze armate turche in Libia come una questione di sopravvivenza, la situazione si è apparentemente ribaltata. Ora gli obiettivi principali prefissati dalle potenze presenti al congresso sono favorire il cessate il fuoco, rispettare l’embargo contro le armi ed eliminare le interferenze straniere nella crisi libica. Tuttavia la dichiarazione comune sulla Libia pecca di un grave errore, ovvero la mancanza di un controllo o di sanzioni nel caso in cui i paesi firmatari non dovessero rispettare l’accordo. E allora cosa garantisce l’effettivo rispetto delle nuove misure adottate ed espresse nella dichiarazione? Il congresso di Berlino, anche se da un lato ritenuto un successo per la presenza delle massime cariche della maggioranza dei paesi partecipanti, dall’altro non è nient’altro che una farsa diplomatica i cui risultati hanno un valore solo apparente.

 

La verità è che tutti i paesi fino ad ora coinvolti nella questione libica hanno troppi interessi sul territorio per ritirarsi realmente dalla scena e permettersi di non veicolare a proprio vantaggio il conflitto tra il governo di accordo nazionale (Gna) del primo ministro al-Sarraj e l’esercito nazionale (Lna) capeggiato dal generale Haftar. È la logica ferrea della Realpolitik, di cui ErdoÄŸan e Putin ormai sono diventati i più accaniti interpreti, destreggiandosi in tutte le circostanze che hanno anche solo un margine di convenienza per loro in termini geopolitici, crisi libica compresa.

Schierati su due fronti opposti (il primo a supporto del Gna, il secondo del Lna) ma alleati economicamente come testimonia la creazione del gasdotto TurkStream, i due presidenti hanno dato l’impressione di essersi seduti a tavolino, con una mappa della Libia e un pennarello indelebile con cui giocare per dividere il paese in sfere d’influenza di uno e dell’altro, danneggiando così gli interessi europei che a nessuno dei due stanno propriamente a cuore. Prima vittima di questa esclusione è l’Italia, che sconta le pene di una politica estera priva di pragmatismo e prontezza.

Il nostro paese non ha mai preso una posizione decisa in merito alla situazione: abbiamo appoggiato formalmente al-Sarraj perché in Tripolitania ci sono i nostri maggiori interessi energetici e i pozzi dell’Eni e perché i nostri governi finanziano la guardia costiera di Tripoli, ma idealmente non possiamo appoggiare il ministro perché significherebbe sostenere indirettamente l’Islam politico anche nelle sue manifestazioni più violente. Risultato: porsi ancor di più ai margini della realtà internazionale. Non sappiamo neppure cosa ci facciamo nel Mediterraneo, oltre a respingere o accogliere profughi. Lo stivale sembra galleggiare nel nulla o, forse, nell’incapacità.

UN NUOVO CONFLITTO IN ATTO?

Chiara di Dio
4D

Nella notte fra il 2 e il 3 gennaio 2020 Donald Trump ha dato via libera per il lancio di bombe sull’aeroporto internazionale di Baghdad, capitale dell’Iran, uccidendo il generale Iraniano Quassem Suleimani.

L’uccisione di Suleimani potrebbe cambiare in modo irreversibile i rapporti tra Stati Uniti e Iran, provocando addirittura un nuovo conflitto mondiale.

Ma cosa avrebbe spinto Trump a questo folle gesto, a questa “dichiarazione di guerra”?

Trump ha ipotizzato (sottolineo questa parola) che il generale Iraniano stesse preparando un attacco contro l’USA. Bisogna credere o meno alle sue parole? Ovviamente ci sono stati ampi dibattiti in merito; c’è chi, addirittura, dice che Trump l’abbia fatto soltanto per ottenere più voti alla prossima elezione. Plausibile.

Ma adesso non concentriamoci su questo, piuttosto, capiamo come si muoverà l’Iran e cosa avverrà in seguito.

La risposta all’attacco degli USA è arrivata ben presto. Infatti, nella notte fra il 7 e l’8 gennaio 2020, sono stati abbattuti 22 missili sulle basi militari americane in Iraq, provocando 80 morti.

 

La palla, adesso, passerà agli Stati Uniti: dalla risposta di Trump dipenderanno i prossimi sviluppi della crisi che, ancora una volta, sta incendiando il Medio Oriente. Intanto, però, è importante sapere che l’Iran si è ritirato ufficialmente dagli accordi nucleari e sarebbe ad un passo dall’utilizzo della bomba atomica.

Ma l’Italia quanto sarebbe coinvolta se avvenisse un nuovo conflitto?

Il nostro paese, nonostante le ripetute sanzioni economiche, già dal periodo immediatamente successivo alla rivoluzione del 1979, che trasformò l’Iran in una Repubblica Islamica antagonista dell’Occidente, ha mantenuto dei buoni rapporti con il governo iraniano. Tra alti e bassi e con qualche incomprensione l’Italia è considerata ancora oggi come uno dei paesi occidentali “più amici” dell’Iran, tanto che il presidente iraniano Hassan Rouhani ha definito in più di un’occasione il nostro paese “la porta” verso l’Europa per il popolo iraniano. Quindi  l’Italia  si schiererà con l’Iran oppure, molto probabilmente, resterà neutrale. Ma la storia è lunga e non finisce qui, soltanto il tempo potrà smentire ciò che ognuno di noi pensa in merito ad una “terza guerra mondiale”. In ogni caso speriamo che non avvenga nulla, preferiamo non studiare un altro disastroso capitolo di storia.

 

COVID-19: ANALISI POLITICA

Marcello Gemma
IC

Dal 9 marzo 2020 l’Italia si trova in stato di lockdown onde evitare una crescita esponenziale dei contagi di Covid-19: ad oggi gli unici esercizi commerciali non chiusi sono quelli di prima necessità come supermercati e farmacie, e i cittadini sono giustamente costretti a rimanere in casa, ma le mosse fatte dal consiglio dei ministri sono davvero le più raccomandabili?

C’è da dire che ovviamente il blocco di tutte le attività non essenziali prevede di conseguenza sia il blocco dell’economia che l’aggravamento della situazione economica di molte famiglie, sia quelle agiate che ovviamente le meno agiate; infatti, sono stati trovati in rete varie conversazioni e testimonianze di gente che si definiva pronta ad attaccare poliziotti e derubare supermercati, ma queste persone non vanno lette né come criminali né tantomeno come rivoluzionari, si tratta  di gente che ha più paura del solito per via della loro situazione economica; quest’esempio è perfetto per spiegare la controversa situazione che stiamo vivendo, finanziaria ma anche sociale.

Alcune agevolazioni economiche sono state varate per aiutare le famiglie che si sono viste azzerare le entrate sia sul piano nazionale che regionale, ma ci sono ancora molte persone di cui lo stato non si sta occupando. Una delle più grandi preoccupazioni per tutti è anche il post-pandemia che sarà sicuramente disastroso per vari motivi e, oltre a proposte di un governo con Mario Draghi, ormai ex presidente della BCE, non se ne parla molto.

 

 

La situazione in cui si è trovata l’Italia è ovviamente fuor dall’ordinario, ma nonostante ciò non si è fatto trovare del tutto impreparato, soprattutto se pensiamo che non aveva nessun modello da seguire se non quello della dittatura cinese: certo, qualche scelta opinabile è stata fatta, se pensiamo anche solo a quanto siamo costretti ad aspettare per notizie certe sulla nostra realtà, ma per lo meno ha messo la salvaguardia del cittadino davanti all’interesse economico, strada che stava per essere intrapresa dal primo ministro inglese Boris Johnson.

Le complicazioni sono sicuramente tantissime per ogni aspetto della nostra vita in questo momento, anche quelli che una volta erano abitudinari: il nostro sistema sanitario ora soffre gli anni di tagli fatti ad esso, gli spostamenti sono stati giustamente minimizzati all’essenziale, la scuola ha avuto una svolta necessaria verso l’informatica e per ora l’unica cosa che possiamo fare per assicurarsi che questa cosa passi e stare a casa, nonostante le difficoltà che possa presentare.

​La sensazione che sta provocando questa quarantena è travolgente, e abbiamo avuto sia brutte che cattive reazioni ad essa, passando dalle canzoni cantate dal balcone al 40% dei residenti lombardi che continuano ad uscire di casa. Ma a parte ciò, soffermiamoci anche sui personaggi politici che hanno fatto parlare di loro anche in questo grave contesto: purtroppo il primo che viene in mente è sempre Matteo Salvini accompagnato dall’alleata sovranista Giorgia Meloni, prima andando contro ogni cosa dicesse il governo giustificando la loro contrarietà con scuse senza senso,  poi lasciando dichiarazioni come “riapriamo le chiese per pasqua, abbiamo bisogno dell’aiuto di Dio, la scienza da sola non basta”, col palese intento di far parlare di sé anche in questa situazione di totale emergenza.

PADRONE DI NOI STESSE

Alessandra Sergio
2C

Con più di cinquantamila membri, il gruppo Telegram “Stupro tua sorella 2.0” risultava uno dei più grandi archivi online d’Italia di revenge porn. Foto, video, numeri di telefono, profili social di decine di migliaia di donne diffusi senza consenso. Per risparmiarci la solita risposta “se la sono andate a cercare mandando foto in giro”, che già di per sé non regge (perché ogni donna può giocare alla seduzione con chi più le aggrada, ciò non significa che si ha il diritto di diffonderne il materiale in rete), precisiamo che molte di queste foto erano semplici selfie, di quelli che pubblichiamo ogni giorno sui nostri social, vestite, in cui dovremmo essere teoricamente al sicuro. E non solo questo: tanti, troppi messaggi erano consigli su come violentare le figlie, come rovinare la vita all’ex fidanzata o di pedopornografia. Non un semplice “discorso da spogliatoio” come molti l’hanno definito, ma una comunità ben organizzata e pronta ad un’eventuale chiusura, dal momento che già esistono decine di gruppi di riserva (che contano circa diecimila membri). Internet ormai rappresenta una seconda realtà, sulle nostre vite ha più peso di quanto si riesca a pensare e questi risultano essere a tutti gli effetti stupri di gruppo.

Tutto è partito con una denuncia su Twitter da parte di @adorevcherry che, rivolgendosi direttamente alla Polizia di Stato, ha reso pubblici i contenuti delle chat, seguita poi da alcuni articoli e attiviste che hanno esposto la questione sui social. Il revenge porn è un crimine anche in Italia e si rischiano multe di quindicimila euro e fino ai sei anni di reclusione. Purtroppo ciò diventa inefficace se il messaggio fissato nella parte superiore della chat reindirizza ad altri dieci gruppi simili. Ed è esattamente questo il punto. Nessuna legge, nessuna politica della privacy ci terrà al sicuro finché la radice del problema non verrà eliminata: la cultura dello stupro, figlia del patriarcato. Perché di questo si tratta ed è doveroso chiamarlo con il proprio nome.

Gruppi del genere esistono da sempre in rete, basti ricordare “bibbia 2.0” che negli anni ha cambiato vari nomi, o si pensi alle chat di gruppo coreane in cui si vendono video di ragazze ricattate. Chiuso uno, se ne apre un altro. E sarà sempre meno reperibile ma non impossibile da accedervi.

La cultura dello stupro in cui siamo costantemente immersi vede la donna come un oggetto, una proprietà, che esiste solo in funzione del desiderio maschile: è impossibile che una donna faccia qualcosa per se stessa, se la gonna è corta è perché vuole provocare e quindi “se l’è andata a cercare”. Il sesso non lo vive, è qualcosa che le viene fatto. Perché la cultura dello stupro vede le donne come prede, non protagoniste delle loro stesse vite, non padrone dei loro corpi. E in quest’ottica, purtroppo, non ci dobbiamo sconvolgere se gruppi del genere esistono, se a molti sembra normale “vendicarsi delle ex”, vendere foto delle mogli, figlie, sorelle. Ci possiamo e ci dobbiamo indignare, ma non basta. Sarebbe bello sentire le voci degli uomini, ma non quelli che ci definiscono “meravigliose” facendoci sentire ancora di più cuccioli indifesi; uomini che spieghino in ogni dettaglio il minuzioso e subdolo meccanismo del patriarcato. E chi nega che questo sia solo uno dei tanti aspetti in cui esso si manifesta fa parte del problema. Come dice Giulia Blasi: “il patriarcato è come la mafia, buona parte della sua mission, per così dire, è farti credere che non esista.” Perché lo scopo di ogni regime autoritario è quello di convincerti che tu non abbia bisogno di ribellarti, che la tua vita sia in armonia così com’è, che quello sia il tuo ruolo e che se lo rispetti andrà tutto bene.

Oggi è stato lo scandalo Telegram, ieri è stato lo stupro di gruppo non punito, domani sarà il catcalling sottovalutato. Casi del genere non sono tragedie imprevedibili, fanno parte di un disegno più grande, ed è arrivata l’ora di osservarlo per intero e di cambiarlo.

CAMBIAMENTI CLIMATICI: COSA NE PENSA LA POLITICA?

Mariachiara Giglio
4E
Beatrice Biscaglia
IB

Il cambiamento climatico dovrebbe essere uno di quei temi che non hanno colore politico, uno di quei temi universali: dovrebbe essere scontato combatterlo, ma gli esseri umani riescono sempre a sorprenderci. C’è infatti chi afferma che “agli Usa farà bene un po’ di riscaldamento globale” perché fa troppo freddo. Donald Trump è solo uno dei tanti politici negazionisti del cambiamento climatico.

Nel 2017, la politica negazionista di Trump ha raggiunto il suo apice con la decisione del presidente degli Stati Uniti di uscire dagli accordi di Parigi. Un’allarmante decisione se si pensa all’impatto ambientale degli Usa: dal 1975 al 2017 il Pentagono ha immesso nell’atmosfera circa 52 milioni di tonnellate di Co2; se questa struttura fosse una nazione, le sue emissioni lo renderebbero il 55° Paese più inquinante al mondo con emissioni superiori a paesi industrializzati come Portogallo, Svezia o Danimarca. I politici statunitensi non sono rimasti in silenzio di fronte alla preoccupante decisione di Trump: Obama si è infatti dichiarato fortemente contrario affermando che “così si rifiuta il futuro”. Fortunatamente la Camera dei rappresentanti Usa ha recentemente approvato con 231 voti favorevoli e 190 contrari un disegno di Legge che richiede all’Amministrazione Trump di mantenere gli Stati Uniti d’America all’interno degli Accordi sul clima di Parigi.

Purtroppo Trump non è l’unico presidente a negare l’esistenza del cambiamento climatico e Jair Bolsonaro, Presidente del Brasile, ne è l’esempio perfetto. Per Bolsonaro l’Amazzonia in fiamme non sembra infatti essere un problema. All’Assemblea generale dell’Onu, Bolsonaro ha dichiarato: “La regione amazzonica rimane virtualmente intatta, ed è la prova del fatto che siamo uno dei paesi che più protegge l'ambiente. Durante questa stagione la siccità favorisce incendi spontanei - ha aggiunto - sappiamo che tutti i paesi hanno problemi, ma gli attacchi sensazionalistici che abbiamo sofferto da grande parte dei media internazionali sugli incendi ha risvegliato il nostro sentimento patriottico".

Non tutti i presidenti sono però negazionisti, diversi politici europei si distinguono per il loro impegno a sostegno dell’ambiente. L’esempio più emblematico è sicuramente quello del partito dei Verdi, il Partito Verde Europeo. Il PVE punta infatti sulle cosiddette "politiche verdi" come le fonti di energia rinnovabili, la salvaguardia dell'ambiente e dei consumatori, e la tutela delle donne.

Spostiamoci però sulla gestione di questa problematica in Italia, dove possiamo individuare diverse situazioni: il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella in occasione del Climate Action Summit del 23 settembre ha firmato una dichiarazione all’interno della quale si diceva che “Le attuali misure adottate dalla comunità internazionale, espresse in contributi determinati su base nazionale (Ndc), non sono sufficienti a raggiungere gli obiettivi a lungo termine stabiliti nell'Accordo di Parigi. Bisogna fare di più e l'azione deve essere rapida, decisiva e congiunta". L’opinione del capo di Stato è dunque quella di dover mettere in pratica tutto ciò che nell’ultimo periodo viene decantato sia sui mass media sia nella vita quotidiana, in quanto “il cambiamento climatico è la sfida chiave del nostro tempo. La nostra generazione è la prima a sperimentare il rapido aumento delle temperature in tutto il mondo e probabilmente l'ultima ad avere l'opportunità di combattere efficacemente l'imminente crisi climatica globale”.

Il discorso di Mattarella ha inoltre un fondamento puramente scientifico: sono state documentate anomale ondate di calore, colate di fango, siccità, inondazioni e tanti altri fenomeni che riassumono i cambiamenti climatici che a causa dell’uomo il nostro ambienta sta subendo. “Il cambiamento climatico”, ci tiene ad aggiungere il Presidente della

 

Repubblica, “è d'ostacolo all'economia globale. Minaccia diversi settori, tra cui agricoltura, silvicoltura, turismo, energia, infrastrutture e risorse idriche e, inevitabilmente, rappresenta una seria minaccia per la pace e la stabilità in tutto il mondo”.

Il pensiero di Mattarella è quindi improntato verso un futuro ecosostenibile e che riesca a conciliare sia l’economia che la certezza di vita delle prossime generazioni.

Dall’altra parte però Matteo Salvini, rappresentante della Lega ed ex ministro dell’interno, ha preso una posizione piuttosto contraria alle riforme proposte per la tutela dell’ambiente.

Un esempio della sua reticenza e del suo scetticismo nei confronti del cambiamento climatico è il rifiuto da lui mosso nei confronti della rimozione delle bottiglie di plastica dai supermercati o almeno ad un loro aumento di prezzo per spingere le famiglie ad acquistare recipienti in vetro. La sua risposta alle domande di chi giustamente si chiedeva il perché di tale rifiuto è stata che “le famiglie spendono meno in plastica che in vetro. Per non danneggiarle economicamente è meglio consentire loro di utilizzare bottiglie usa e getta”.

Infatti è innegabile l’indifferenza e l’ignoranza che si celano dietro una risposta simile: il costo di una bottiglia di plastica al giorno per un anno intero è sicuramente maggiore di quello di una bottiglia in vetro di durata sicuramente più lunga. Se quindi una bottiglia di plastica ad una famiglia viene a costare giornalmente 50 centesimi l’una per 365 giorni l’ammonto sarebbe infine di ben 182 euro, il tutto senza calcolare le intere casse di acqua, le quali vengono a costare da un euro in su.

La Lega di Matteo Salvini si dimostra contraria anche alla direttiva riguardo le energie rinnovabili, la contabilizzazione dei gas effetto serra verso un 2030 sostenibile, la diminuzione di emissioni di Co2 da parte delle automobili e via dicendo, opponendosi in tutto e per tutto all’Accordo di Parigi.

Il pensiero che si potrebbe nascondere dietro un comportamento così sfrontato nei confronti di questa causa comune è l’economia: è chiaro a tutti che una delle cause dei cambiamenti climatici è sicuramente l’economia non sostenibile che da anni pratichiamo, e dunque combattere gli stessi cambiamenti climatici significherebbe per loro fermare l’economia fonte di guadagno.

Dunque individuiamo una scissione netta tra chi desidererebbe un progresso ambientale da parte sia della singola nazione che di tutto il mondo (Obama, i Verdi e Mattarella) e chi invece si dimostra scettico rivelando sotto le sue povere motivazioni un semplice interesse economico (Trump, Bolsonaro e Salvini) ancorando il sistema economico globale ad una serie di catastrofi altrimenti inevitabili.

L’unico modo per andare avanti in maniera sostenibile è sradicare l’economia altamente inquinante dal modo di vivere di ciascuna persona: è essenziale nel rispetto delle generazioni future mettersi in moto per evitare di lasciare ai nostri prossimi una situazione ben peggiore di quella che stiamo vivendo a causa del nostro poco lavoro a riguardo.

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